Il 21 novembre di quest’anno è stata una data significativa per tante ricorrenze:
il 189° anniversario di fondazione dell’Istituto, la Solennità di Cristo Re, la Giornata delle claustrali, del seminario, della gioventù e non ultima, perché preceduta, la giornata di ringraziamento per la professione temporanea di Elena, una giovane che ha scelto di intraprendere il cammino di consacrazione nella nostra famiglia religiosa.
Le intenzioni di preghiera si sono moltiplicate e insieme alle emozioni hanno contribuito a rendere questa giornata significativa e non solo per noi, “Suore di Carità delle Sante Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa”, ma anche per molti altri.
Lo testimonia una mamma, Marina, che da quando accompagna il figlio alla scuola Capitanio è sempre stata presente alle celebrazioni delle nostre ricorrenze.
Così anche quest’anno, dopo il pellegrinaggio notturno da Sellere a Lovere, ha voluto offrirci le sue suggestioni con la spontaneità che la connota e con la sua tipica ed efficace immediatezza.
Ci scrive:

Il mio racconto non è certo come quello di due anni fa, è diverso rispetto al 2019, perché anch’io mi sento diversa.
Ho partecipato al pellegrinaggio con il mio bagaglio di donna, di mamma, con un po’ più di rughe, con qualche capello bianco in più, con tanti difetti e con le lacrime spese per le persone che ho perso e con la riserva di altre lacrime, quelle che sono rimaste chiuse in fondo al cuore.
Nella notte fredda e stellata di domenica 21 novembre, con il folto gruppo di pellegrini che si è ritrovato alle 4 in silenzio a Cascina Mariet, c’ero anch’io.
Lungo il percorso sono quasi sempre rimasta indietro. Sentivo i miei piedi aderire al terreno come calamite. Il passo non sembrava voler prendere velocità.
Un incedere lento e opposto alla frenesia delle solite giornate.
Un andare gravido di gratitudine per quell’essere lì, per quel silenzio pregnante, con l’essenziale per il cammino, con il ritmo delle invocazioni intermittenti che mi facevano compagnia, insieme agli altri viandanti, “Verso la luce”.(Questo era il titolo del libretto di preghiere che ci era stato consegnato).
“La luce”.
Intorno alla luce si è focalizzato il mio sguardo: sui ceri accesi lungo il percorso per mantenere vivo il calore di quell’Amore che ha mosso le nostre Sante e sui ceri che ardevano alla fine di questo cammino nella Cripta del Santuario intorno alla lampada di Elena, la giovane professa.
Tante fiammelle.
Tutte belle, disposte in semicerchio intorno all’altare, davanti ai quadri di Bartolomea e Vincenza.
Sembrava che le più piccole volessero alimentare e garantire quella più grande al centro.
Forse per la mia stanchezza o per un’illusione ottica, la vedevo ora affievolirsi, ora vibrare, ora innalzarsi.
Ho avuto l’impressione che le luci si mettessero in dialogo e che la fiamma della lucerna grande si riprendesse per il calore e la vicinanza delle altre.
I ceri più piccoli erano quelli delle suore della comunità, professe da anni e la lampada più vistosa era quella della giovane, all’inizio del percorso di consacrazione.
Ero curiosa: ho contato le luci. Volevo vedere se fossero aumentate o diminuite rispetto agli anni passati.
Ne mancava una.
Oh, ecco! É arrivata velocemente ancora una suora. Ha allineato la sua candela. Forse durante il tragitto si era spenta.
Mi sono detta: non importa quante sono, importa la loro voglia di non far spegnere quella luce, di ravvivarla sempre.
L’immagine della candela ci comunica ciò che siamo: siamo fatti per ardere, per illuminare, per riscaldare e accendere altri.
Questa è una meraviglia!
Questa è felicità, è beatitudine: la felicità di consumarci per la gioia e la cura degli altri, delle altre.”

          (a cura della comunità del Conventino)