Per conoscere e capire di più

Stemma del nostro Istituto
Suore di carità delle sante B. Capitanio e V. Gerosa
comunemente dette Suore di Maria Bambina

a cura di suor Carmela Paloschi

Lo stemma è il complesso delle figure che costituiscono il contrassegno stabile e ufficialmente riconosciuto di stati, persone, famiglie, enti, disegnato o scolpito.

1.  Lo stemma che contraddistingue il nostro Istituto come Ente giuridico dal 1841 al 1863 è il medesimo delle Figlie della carità di sant’Antida Thouret, di cui abbiamo adottato le Costituzioni. Lo troviamo su «Istituto ossia Regole e Costituzioni generali della congregazione delle Figlie della carità sotto la protezione di S. Vincenzo de’ Paoli» Brescia – Tipografia vesc. del Pio Istituto, 1863. Rappresenta il pellicano che curva il becco verso il petto per dare da mangiare ai suoi piccoli i pesci che trasporta nella sacca, il quale nell’iconografia cristiana è il simbolo  dell’abnegazione con cui si amano i figli, quindi emblema di carità. È pure allegoria di Cristo sulla croce dal cui costato sgorgano sangue e acqua, fonte di vita per gli uomini.

L’Istituto assume, poi, un suo stemma, sempre in bianco e nero, che per un certo tempo subisce delle variazioni; non sappiamo chi siano i rispettivi disegnatori. Lo stemma viene usato per i documenti e per le pubblicazioni della Congregazione: Vita della beata Capitanio, Vita di santa Gerosa, Storia dell’Istituto, Regola di vita, Atti dei capitoli generali, Decreti di erezione di province religiose, lettere circolari delle superiore generali…

2. Sul «Direttorio per i ministeri esterni delle Suore della carità della ven. Capitanio sotto la protezione di S. Vincenzo de’ Paoli» – Trento, Tipografia ed. Artigianelli, 1898, troviamo l’effigie di Maria seduta sul muretto di un giardino con il Bambino Gesù sulle ginocchia; delimita il piccolo quadro bucolico un cerchio perfetto costituito da due ramoscelli d’ulivo. Nella Bibbia (Gn 8,11) si legge che, calmatosi il diluvio universale, una colomba portò a Noè un ramoscello d’ulivo per annunciargli che la terra e il cielo si erano riconciliati. Da quel momento l’ulivo diventò il simbolo della rinascita, perché la terra tornava a fiorire, e della pace, perché attestava la fine del castigo e la riconciliazione di Dio con gli uomini. Nel Nuovo Testamento Gesù fu per tutti causa di riconciliazione e di pace. Il cerchio poi, formato da una linea unica, le cui estremità si congiungono per annullarsi l’una nell’altra, è simbolo dell’eternità e quindi di perfezione, di compiutezza; inoltre, la circonferenza determina la superficie interna definita e quella esterna infinita. Probabilmente non si tratta di uno stemma vero e proprio, tuttavia il motivo è carico di significato e, pertanto, a noi caro.

3. Nel 1926 la «Vita illustrata della beata Bartolomea Capitanio », di M. Cantelli Riva, e nel 1928 il «Direttorio delle suore di carità della B. Bartolomea Capitanio» di madre V. Starmusch (che risulta nella maggior parte di norme già stampate nel 1898 e di manoscritti della defunta madre A. Ghezzi), la vita de «La beata Gerosa» di A. Tamborini del 1933 hanno sul frontespizio un vero stemma diviso in partizioni: al centro del campo la croce, con una raggiera all’incrocio dei bracci, spicca sullo sfondo che ne riproduce la forma, ampliandola; il cartiglio porta la scritta in latino: Societas sororum charitatis beatae Bart. Capitanio (Società delle suore di carità della Beata Bart. Capitanio).

4. La biografia de «La venerabile suor Vincenza Gerosa – Vita popolare », edita a Venezia nel 1931 con la prefazione del card. Patriarca Pietro La Fontaine, e i cinque volumi della storia dell’Istituto di suor A. Prevedello presentano uno stemma che richiama lo scudo araldico a mandorla. Il campo è diviso in quattro parti dall’insegna della croce che domina, quasi in rilievo; nei due riquadri inferiori, sotto il braccio orizzontale, sono scritte le lettere ‘S’ a sinistra e ‘C’ a destra, ovviamente traducibili in Societas Charitatis; elementi ornamentali semplici  conferiscono ricchezza e movimento allo stemma.

5. In occasione della canonizzazione della beata suor Vincenza Gerosa, suor A. Prevedello ne scrive la vita «Santa Vincenza Gerosa, confondatrice delle suore di carità», pubblicata a Vicenza nel 1948. Sul frontespizio è riprodotto uno stemma semplicissimo: nel campo nero brilla, tratteggiata con linee bianche e circondata da raggi, la croce, cara alla santa che ripeteva spesso: «Chi sa il Crocifisso sa tutto, chi non sa il Crocifisso sa niente (MAZZA, VG, 92) e «Il Crocifisso è un gran libro da meditare e da imitare» (ib, 298); nessun cartiglio con scritta intorno; una cornice ovale con arricciature decorative la circoscrive.

6. Suor Maria Clara Bianchi nel 1959 pubblica – Ed. Stella Maris, Milano – «Il simulacro e il santuario di Maria Bambina» che illustra le origini e le ragioni del culto a Maria nascente nella nostra Famiglia religiosa. In quarta di copertina il libro riporta uno stemma che, a prima vista, richiama lo stendardo per la decorazione floreale alle estremità superiori: una rosa e un giglio, collegati da volute ornamentali. Sostanzialmente è uno scudo araldico ovale appuntato in basso; nel vasto campo bianco si staglia una croce nera con terminazioni trilobate (elemento simile al trifoglio greco); il riquadro dell’iscrizione, come un nastro sinuoso che passa attraverso ‘asole’ predisposte, distribuisce la scritta: Societas sororum charitatis sanctarum B. Capitanio V. Gerosa (Società delle suore di carità delle sante B. Capitanio e V. Gerosa).

7. Nel 1964 esce la prima pubblicazione «La nostra anagrafe in cielo», testimonianza di gratitudine, scrive madre Costantina Baldinucci, verso «grandi e umili, ma tutte care» suore defunte dal 1832 al 1963 (circa 6.000); lo stemma che la contraddistingue, sul retro di copertina, porta, come la precedente, la croce nera in campo bianco, leggermente bombato, con le terminazioni trilobate; la scritta, tutta maiuscolata, scorre intervallata e contenuta da quattro arricciature doppie in corrispondenza alle estremità della croce: SOCIETAS SORORUM CARITATIS S. B. CAPITANIO S. V. GEROSA (Società delle suore di carità di S. B. Capitanio e di S. V. Gerosa). Da notare che la parola caritatis non ha più la lettera ‘h’.

8. Lo stemma n. 8 è stato posto sulle intestazioni dei Decreti di erezione delle province religiose e sulla raccolta delle Lettere circolari delle nostre madri fino a madre Angelamaria Campanile (1987) in quarto di copertina, mentre sul frontespizio è riprodotto il precedente n. 7. Il campo è bianco, come pure la croce la quale, però, ha il profilo ombreggiato in nero con i bracci trilobati; trilobata è la parte inferiore dello stemma, mentre la superiore presenta un emiciclo che poggia su due piedestalli; il motto Societas sororum / caritatis / sanctarum / B. Capitanio / V. Gerosa ricorre su nastri spezzati e disposti su cinque archetti come motivi ornamentali.

9. Dal 1988 in poi viene adottato un unico stemma: l’elemento costante è la croce romana, stilizzata, bianca, con la proiezione in nero a destra del braccio verticale e sotto quello orizzontale che rimanda a una fonte di luce proveniente da nord-ovest; una doppia arricciatura all’indietro, in corrispondenza delle quattro estremità della croce, fa da passanastro alla scritta, ormai completa e definitiva: Sorores caritatis a sanctis B. Capitanio et V. Gerosa.

Questa è la denominazione ufficiale dell’Istituto rettificata dalla Sacra Congregazione dei Religiosi nel 1950 (f.to segretario P. M. Larraone) e nel 1958 (f.to card. V. Valeri) per evitare confusione con altri Istituti. Tuttavia, dalla venerazione del simulacro nel nostro Santuario di Milano, siamo comunemente conosciute con il nome di «Suore di Maria Bambina».

Lo stemma può essere anche un affresco, un bassorilievo in pietra o in marmo o in legno, racchiuso in un riquadro più o meno riccamente decorato.

A.   A Lovere (BG) «Conventino» (ex casa Gaia), casa madre dell’Istituto, nel corridoio al secondo piano della casa delle suore,vicino alla ‘stanza del cassettone’, «dove, deposta l’immagine di Maria Santissima tramezzo a due candele accese, e inginocchiate (C. Gerosa e B. Capitanio), fecero coi sentimenti della maggior devozione l’offerta di loro stesse a Dio per le mani di Maria Santissima, e delle loro sostanze, consacrandosi interamente alle opere di carità nel servizio dei poverelli in quel miglior modo che a Dio piacesse» (MAZZA L. I., Della vita e dell’Istituto della venerabile Maria Bartolomea Capitanio, II, 79) è collocato un quadro in rame sbalzato con lo stemma, al cui centro sta la croce, uguale a quello descritto al n. 9; solo il motto differisce un poco: Societas sororum caritatis S. B. Capitanio S. V. Gerosa, cioè i nomi di Bartolomea e di Vincenza sono preceduti dall’aggettivo abbreviato ‘S.’ = Sanctae, quindi l’opera è posteriore al 1950, anno della loro canonizzazione.

B.  Sul soffitto del salone al primo piano, sempre del «Conventino», attualmente «Noviziato europeo», nella parte centrale che include il lampadario, un affresco policromo e ricco di elementi decorativi ripropone lo stemma in forma originale. In campo blu, stemperato all’interno fino al bianco, domina la croce d’oro con i bracci trilobati e un fascio di raggi dorati si diffonde dal punto centrale. Attorno una cornice, quasi a forma di cuore, arricchita di motivi floreali e di arricciature varie che sconfinano in basso in un nastro, a pizzo, blu. Sullo sfondo due ovali in marrone degradante, separati da disegni geometrici (piccoli cerchi e altrettanti triangoli) bianchi, circondati da una raggiera blu, che rimanda al sole, simbolo di benessere, di vita, di positività, la quale si diffonde ampiamente. Sovrasta il tutto la denominazione, su un cartiglio blu cangiante con volute maestose ed eleganti: Societas sororum charitatis B.tae Bartolomeae Capitanio et Vincentiae.

C.  Sopra l’arcata di destra della rampa di scale che porta all’ingresso del Santuario è stato costruito un balconcino pensile, che fa da collegamento interno alle tribune; sotto questo, nelle voltine a vela sono riprodotti in mosaico gli stemmi delle famiglie Capitanio e Gerosa, l’uno a sinistra e l’altro a destra, e lo stemma dell’Istituto in mezzo. Questo ha la forma appunto di vela o di triangolo acuto con il vertice in basso; il campo dorato è dominato dalla croce rossa con i bracci trilobati, abbracciata da due rami di gigli di giardino, simbolo di candore, di purezza; il nastro con la
scritta Societas sororum charitatis beatae Bart. Capitanio li raccoglie e lega come nella confezione di un fiorista; la bordura dorata conferisce rilievo al colore verde e bianco dei fiori; un secondo bordo, ricco di piccole rose con rispettive foglioline, lo separa dallo  stemma delle famiglie Capitanio e Gerosa.

D.  Sulla parete interna del Santuario, in fondo a destra guardando l’altare, un affresco riunisce in uno i tre stemmi precedenti. Il campo nero è occupato da una croce marrone trilobata; all’incrocio dei bracci, elemento nuovo, un’ostia con la sigla JHS (Jesus Hominum Salvator: Gesù  salvatore degli uomini), gli spazi superiori sono occupati dalle grandi foglie di due palme, che nascono ai piedi della croce (simbolo di fertilità e di longevità); in quelli inferiori sono inseriti a sinistra lo stemma della famiglia Capitanio e a destra quello del casato della Gerosa. In basso un nastro, arrotolato come una pergamena, porta la scritta: Societas sororum charitatis – Beatae Bart. Capitanio et Vinc. Gerosa. Una cornice con archetti colorati e il profilo esterno blu racchiude il tutto come in una vetrina.

E.  All’ingresso della Casa generalizia a Milano, via S. Sofia, 13, a destra una modesta lastra di marmo grezzo, di colore beige, effetto anticato, oltre alla scritta «Santuario di Maria SS. Bambina », riporta in tre dimensioni, ad altorilievo lo stemma dell’Istituto che riproduce in modo perfetto quello descritto al n. 7. Ovviamente la croce è scolpita, come pure la denominazione della Congregazione Societas sororum / caritatis / S. B. Capitanio / S. V. Gerosa. La superficie porosa rende il materiale meno sensibile al deterioramento causato dalle intemperie a cui è continuamente esposto.

È evidente che il simbolo che unifica tutte le varie forme del nostro stemma è la croce perché «la suora di carità è prima di tutto una ‘redenta’, liberata da Cristo, plasmata dal suo amore gratuito e rigeneratore, resa capace di rivivere il suo amore gratuito e rigeneratore nella storia di oggi, verso l’uomo di oggi… Essa vive la consacrazione religioso-apostolica nella dinamica caratteristica del mistero di morte e risurrezione del Redentore: esproprio di sé nella consegna al Padre di tutto il suo essere, donazione ai fratelli nel gesto libero e liberante di un servizio che passa  attraverso la perdita della propria vita e genera vita nuova in lei stessa e in coloro che serve… ‘Faccia il Redentore amabilissimo che noi siamo sue vere seguaci’ è il sigillo del Promemoria di Bartolomea, la fondatrice, e della nostra formula di professione perpetua in questo Istituto ‘tutto fondato sulla carità’» (KERSBAMER SUOR C. in Faccia il Redentore che siamo sue vere seguaci, 1983, ll8.120.125).