Promemoria – 26 aprile 1831

E’ il documento in cui Bartolomea in varie riprese,
dal 26 aprile al 15 maggio 1831, raccoglie e ordina le ispirazioni avute riguardo all’Istituto, nella preghiera, nella Comunione eucaristica, durante il lavoro.
Ne esce, con la grazia di una nuova illuminazione, un progetto di vita evangelica fondato sulla carità operosa e oblativa a imitazione di quella che il Redentore “ha esercitato nel corso della sua vita”.
Questa modalità di vivere la carità determina la natura apostolica dell’Istituto e plasma l’esperienza spirituale dei suoi membri, abilitandoli a “fare ogni possibile, a soffrire tutto per il bene dei prossimi”, secondo i tratti del cuore di Cristo: carità, dolcezza, umiltà.

Il testo è ridotto e adattato alla lingua corrente.
(Il testo integrale è scaricabile in pdf).

Per obbedire scrivo
Credo in una Comunione ebbi questo pensiero: L’Istituto che si fonderà in Lovere sia tutto fondato sulla carità, e questo deve essere il suo scopo principale; specialmente esso ha da essere utile alle giovani pericolanti, non escludendone nessuna di qualunque età, condizione, carattere, purchè sia bisognosa o spiritualmente o corporalmente, e l’Istituto possa giovarle; esso si deve prestare in ogni cosa, perchè per questa sorta di gioventù pochi mezzi vi sono per ridurla al bene, se non quello di allontanarle dai pericoli.

Un’altra volta, credo nel tempo di orazione, ebbi questo pensiero: L’Istituto non solo sia basato sulla carità che costituisce la vita attiva, ma ad essa si congiunga la contemplativa, in modo che le persone che ad esso si consacrano possano vivere dell’una e dell’altra; cioè in questo Istituto vi sia buona parte del giorno consacrata all’orazione, specialmente alla meditazione, così che i loro esercizi di carità abbiano buon frutto, perchè tutti parti di orazione, e possano insegnare agli altri quello che hanno da Dio appreso orando.

Un’altra volta mentre lavoravo, e mi si confermò poi in varie Comunioni ed orazioni, ebbi questo pensiero: L’Istituto dev’essere fondato sulla norma e sugli esempi lasciati dal Nostro Signor Gesù Cristo, in modo che la Regola di esso sia una copia delle sue azioni. Sicchè tutte le regole, le prescrizioni, le ordinazioni siano precisamente dirette a imitare ciò che faceva Gesù Cristo a questo mondo, ed Egli deve essere e protettore, e norma, e guida.
Come tanti Istituti hanno per scopo o di onorare Maria SS., o di imitare qualche Santo, così questo deve prefiggersi di onorare il Redentore e di imitare i suoi esempi, in modo che chi ad esso si consacra, possa diventare vera figlia di Gesù Cristo per l’imitazione.
Questo pensiero dell’imitazione del Redentore l’ho avuto con qualche chiarezza ch’io non so spiegare, e mi pareva di vedere belle e soavi le Regole che per arrivare a tale scopo sono opportune, senza però che chiaramente le potessi conoscere… Solo che ogni volta che mi tornava questo pensiero, lasciava nel mio cuore una gran dolcezza e qualche volta un senso di gratitudine, riconoscendo che Gesù Cristo ci farebbe una grande grazia se a tanta altezza ci chiamasse.

Di nuovo in una Comunione sentii che l’Istituto abbia d’avere per scopo principale l’educazione delle figliuole povere e senza genitori, tenendole anche a tutto mantenimento finchè siano allevate e istruite in qualche mestiere, con cui onestamente procacciarsi il vitto.
Inoltre mi pare che sarà molto caro al Signore che, oltre alla scuola esterna, fatta alle povere per carità, l’Istituto tenga anche educazione interna per tutte quelle giovinette, o del paese o estere, che bramassero essere istruite, massime se avessero intenzione di fare la maestra o fossero di buona indole, per cui si sperasse buona riuscita anche per prestarsi alla carità del prossimo.

Più volte sentii al cuore che le persone che si consacrano a questo Istituto siano d’una pietà assai soda, d’una virtù singolare e per inclinazione amanti della gioventù. Quindi si abbia gran prudenza nell’accettare un soggetto, sia ben esaminata la sua virtù e la sua vocazione, poichè, dovendo essere un Istituto libero, si correrebbe il rischio di far nascere degl’inconvenienti molto pregiudicevoli. Mi pare che il Signore voglia che il noviziato di queste persone sia molto severo e rigoroso, che in loro s’inculchi grandemente l’osservenza delle Regole, che si facciano loro conoscere i grandi impegni che si assumono e che hanno bisogno d’una gran confidenza in Dio e d’un vero spirito di carità, animato da una purità d’intenzione assai viva, che tutto rende facile e gustoso.
E’ bene assai in questo tempo prevenirle di tutto, ciò, per animarle di quel vero spirito che richiede l’Istituto, e mi pare che il Signore desideri che nel tempo del noviziato nessuna s’impegni in opere, dovendo prima ognuna apprendere per se stessa il vero spirito dell’Istituto, per poi adoperarlo a tenore delle singole incombenze che le verranno affidate.

A me sembra che il Signore desideri che l’Istituto ammetta i tre voti comuni alle altre congregazioni, di castità, di ubbidienza, e di povertà.

Oltre alla carità con le figliuole, e povere, e bisognose, e ricche, e di qualunque genere, poichè a tutte deve estendersi, mi pare che sarà molto caro al Signore che l’Istituto si presti anche a sollievo dei poveri ammalati, massime all’assistenza e governo dell’ospedale, impiegandosi le persone a servizio delle inferme, a loro conforto e aiuto spirituale e temporale. Questo deve essere un ramo di esso, derivante da quella carità sincera di cui devono essere adorne le persone che si consacrano a questo genere di vita, così uniforme a quello del nostro amabilissimo Redentore.

Le persone di questo pio Istituto devono essere adorne di tutte le virtù, ma le loro caratteristiche devono essere la carità, la dolcezza e l’umiltà, a imitazione dell’amabilissimo nostro Redentore, che di queste virtù pareva fino che si gloriasse. E mi pare che il Signore esiga che siano da loro sì grandemente praticate queste virtù che formino veramente il loro carattere e che a solo vederle, o a trattare assieme, si conosca che sono vere seguaci del Redentore.

Benchè l’Istituto sia un semplice Ritiro, pure mi pare che il Signore voglia in esso una carità grandissima tra gl’individui, una comunità perfetta, un’eguaglianza totale con tutte, non dovendovi essere singolarità veruna, nè per la ricca, nè per la delicata, nè per qualunque riguardo umano, dovendo ognuna, appena entrata essere perfettamente sorella delle povere figlie di quest’Istituto. Un vero bisogno di malattia sarà l’unico motivo che dispenserà le sorelle da questa universale comunità.

Mi pare anche che Iddio brami che in questo pio Istituto si faciliti alquanto riguardo alla dote con quelle povere persone che sarebbero così adattate, ma per mancanza di mezzi, non possono avere la consolazione che bramano. A queste si apra il passo, si accettino, affidate a quella immancabile provvidenza di Dio che non lascia mai in bisogno chi in essa confida. E mi pare che Dio lo voglia, appunto per coerenza al fine che l’Istituto deve avere, di imitare cioè il S.S.mo nostro Redentore; mentre Egli voleva tanto sproprio che diceva a chi lo seguiva che non aveva nè casa, nè tetto.

Venerdì p.p. nella S.S. Comunione, più chiaramente delle altre volte e con particolare tenerezza, sentii al cuore che l’Istituto, che si fonderà in breve qui, abbia veramente d’essere chiamato l’Istituto del Redentore e le persone che ad esso si consacrano, le figlie del Redentore. E mi pare che Iddio lo voglia proprio sotto questo titolo particolare e per indicare la predilezione che Egli vuole avere di questo pio Ritiro e per insegnare alle persone che ad esso si consacrano il modo di santificarsi. Iddio ha riservato a questi tempi un’impresa tanto grande e caritatevole, perchè il bisogno è grande ed estremo.

Il noviziato potrebbe raffigurare la vita nascosta di Gesù Cristo, e mi pare che lo bramii lungo, almeno, almeno due anni e mezzo. La vita che deve succedere dopo, tutta impiegata al bene del prossimo, senza eccezione veruna, potrebbe in qualche modo imitare la vita laboriosa di Gesù Cristo nei tre anni della sua predicazione. Ed il quarto voto di carità, che il Signore parmi pretendere da queste persone, di fare ogni possibile, di soffrire tutto e di dare anche il Sangue per il bene dei prossimi, potrebbe imitare da lungi la carità ardentissima del nostro Redentore nel morire per noi. L’orazione frequente, massime la meditazione per buono spazio di tempo ogni giorno, potrebbe rassomigliare ai frequenti ritiramenti che faceva l’amabile Redentore dagli uomini, per trattenersi col suo divin Padre a perorare per noi. E il numero di 12 operaie, senza le domestiche, che forse potrebbe bastare alla pia Opera, potrebbe indicare gli Apostoli 12, che scelse per la salute del mondo; ma siccome ammise anche discepoli, così pare che, dietro qualche circostanza, si potrà accrescere il numero.

Faccia il Redentore amabilissimo che noi siamo sue vere seguaci.
Amen

Bartolomea Capitanio
ci ha trasmesso la sua esperienza spirituale,
oltre che con la testimonianza di vita,
anche attraverso numerosi scritti,
che nel 1904 furono raccolti
per opera di Padre Luigi Mazza sj
e pubblicati in tre volumi:
Lettere,
Pratiche di pietà,
Note e pratiche di vita perfetta.

Tra questi, alcuni si distinguono
per il contenuto specificamente carismatico,
riflettendo in modo più illuminato e preciso
la sua intuizione circa
il progetto di vita e la fondazione dell’Istituto.