I protagonisti

Bartolomea non era sola quella mattina di novembre a dare avvio all’Istituto. Inginocchiata accanto a lei per l’atto di consacrazione a Dio nel servizio di carità, c’era anche una sua compaesana, Caterina Gerosa(1784 – 1847), maggiore di età e tanto diversa per indole ed educazione.
L’una aveva ricevuto una buona formazione nell’educandato delle Clarisse, dal quale era uscita preparata per fare la maestra e ferma nel proposito di farsi “santa, gran santa, presto santa”.
L’altra era stata coinvolta, ancora giovanissima, negli affari di famiglia per i quali rivelava diligenza e avvedutezza, ma anche lei aveva fatto della carità una scelta di vita.
Si erano, infatti, già trovate insieme per animare l’oratorio delle ragazze, nelle associazioni, nelle visite all’ospedale, sorto per la generosità degli stessi Gerosa, che erano facoltosi commercianti di pelli.
Per le sue possibilità economiche, Caterina si prendeva a cuore soprattutto i poveri, che beneficava con larghezza in vari modi.
Amava i gesti privati della carità, gli interventi discreti, ma puntuali e a misura del bisogno, finchè l’amica sconvolse quel suo umile quotidiano con la proposta di unirla a sé nella fondazione dell’Istituto.
Dapprima contraria e sgomenta, Caterina si consegnò poi interamente al progetto, riconosciuto come volontà di Dio, la quale le si rivelò ancora più esigente e oscura quando, otto mesi dopo la fondazione, Bartolomea moriva, lasciando a lei il grave compito di continuare l’opera.

“Chi sa il Crocifisso sa tutto”, era solita ripetere indicando dove riponeva la sua confidenza e attingeva luce e coraggio.
Con il contributo della sua esperienza e con fedeltà all’intuizione della fondatrice, assumendo con la professione religiosa il nome nuovo di suor Vincenza, condusse l’istituto al suo consolidamento interno e a un notevole sviluppo.
Alla sua morte (29 giugno 1847), lo lasciò con 156 membri e 25 comunità.

Per tutte e due fu provvidenziale la presenza di don Angelo Bosio (1796 – 1863), direttore spirituale di Bartolomea, che con la mente illuminata incoraggiò il progetto nel suo nascere e accompagnò poi i primi trent’anni di vita dell’Istituto, promovendo le pratiche per il suo riconoscimento giuridico, conducendo l’espansione fuori Lovere, formando le suore alla loro specifica missione.
Per mantenere viva in esse la memoria della fondatrice e soprattutto per trasmettere integra la sua eredità spirituale riservava loro un po’ di tempo del suo ministero parrocchiale per intrattenerle con periodiche “conferenze”. “Troppo mi preme – ripeteva loro – che apprendiate bene lo spirito del nostro Istituto”.
Si adoperò anche per avviare i processi di canonizzazione della Capitanio e potè cogliere buone speranze per quelli della Gerosa.
(Il lungo iter si conluderà il 18 maggio 1950 con il riconoscimento della loro santità da parte di Pio XII).

Tre furono, dunque i protagonisti delle nostre origini, che concorsero con ruoli distinti e complementari alla fondazione e al primo sviluppo dell’Istituto, ma a fatti compiuti – osservava il primo storico della Congregazione – “anche i più distratti non possono non riconoscere esservi stato il dito di Dio”.
“L’opera è del Signore”, insisteva Bartolomea.
“Ne è lui l’autore”, le faceva eco Caterina.
Tutti e tre sapevano che era Lui a muovere i loro pensieri e le loro mani, perché si erano resi docili alla sua volontà.