LA GIOIA DELLA PASQUA

Misteriosamente, il Cristo stesso, per sradicare dal cuore dell’uomo il peccato di presunzione e manifestare al Padre, un’obbedienza integra e filiale, accetta di morire per mano di empi (36), di morire su di una croce. Ma il Padre non ha permesso che la morte lo ritenesse in suo potere. La risurrezione di Gesù è il sigillo posto dal Padre sul valore del sacrificio del suo Figlio; è la prova della fedeltà del Padre, secondo il voto formulato da Gesù prima di entrare nella sua passione: «Padre, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te» (37). D’ora innanzi, Gesù è per sempre vivente nella gloria del Padre, ed è per questo che i discepoli furono stabiliti in una gioia inestinguibile nel vedere il Signore, la sera di Pasqua.
Ne deriva che, quaggiù, la gioia del Regno portato a compimento non può scaturire che dalla celebrazione congiunta della morte e della risurrezione del Signore. È il paradosso della condizione cristiana, che illumina singolarmente quello della condizione umana: né la prova né la sofferenza sono eliminate da questo mondo, ma esse acquistano un significato nuovo nella certezza di partecipare alla redenzione operata dal Signore, e di condividere la sua gloria. Per questo il cristiano, sottoposto alle difficoltà dell’esistenza comune, non è tuttavia ridotto a cercare la sua strada come a tastoni, né a vedere nella morte la fine delle proprie speranze. Come lo annunciava il profeta: «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia» (38). L’Exultet pasquale canta un mistero realizzato al di là delle speranze profetiche: nell’annuncio gioioso della risurrezione, la pena stessa dell’uomo si trova trasfigurata, mentre la pienezza della gioia sgorga dalla vittoria del Crocifisso, dal suo Cuore trafitto, dal suo Corpo glorificato, e rischiara le tenebre delle anime: Et nox illuminatio mea in deliciis meis (39).
La gioia pasquale non è solamente quella di una trasfigurazione possibile: essa è quella della nuova Presenza del Cristo Risorto, che largisce ai suoi lo Spirito Santo, affinché esso rimanga con loro. In tal modo lo Spirito Paraclito è donato alla Chiesa come principio inesauribile della sua gioia di sposa del Cristo glorificato. Egli richiama alla sua memoria, mediante il ministero di grazia e di verità esercitato dai successori degli Apostoli, l’insegnamento stesso del Signore. Egli suscita in essa la vita divina e l’apostolato, E il cristiano sa che questo Spirito non sarà mai spento nel corso della storia. La sorgente di speranza manifestata nella Pentecoste non si esaurirà.
Lo Spirito che procede dal Padre e dal Figlio, dei quali egli è il reciproco amore vivente, è dunque comunicato d’ora innanzi al Popolo della nuova Alleanza, e ad ogni anima disponibile alla sua azione intima. Egli fa di noi la sua abitazione: dulcis hospes animae (40). Insieme con lui, il cuore dell’uomo è abitato dal Padre e dal Figlio (41). Lo Spirito Santo suscita in esso una preghiera filiale, che sgorga dal più profondo dell’anima e si esprime nella lode, nel ringraziamento, nella riparazione e nella supplica, Allora noi possiamo gustare la gioia propriamente spirituale, che è un frutto dello Spirito Santo (42): essa consiste nel fatto che lo spirito umano trova riposo e un’intima soddisfazione nel possesso di Dio Trinità, conosciuto mediante la fede e amato con la carità che viene da lui. Una tale gioia caratterizza, a partire di qui, tutte le virtù cristiane. Le umili gioie umane, che sono nella nostra vita come i semi di una realtà più alta, vengono trasfigurate. Questa gioia, quaggiù, includerà sempre in qualche misura la dolorosa prova della donna nel parto, e un certo abbandono apparente, simile a quello dell’orfano: pianti e lamenti, mentre il mondo ostenterà una soddisfazione maligna. Ma la tristezza dei discepoli, che è secondo Dio e non secondo il mondo, sarà prontamente mutata in una gioia spirituale, che nessuno potrà loro togliere (43).
Tale è la legge fondamentale dell’esistenza cristiana, e massimamente della vita apostolica. Questa, poiché è animata da un amore urgente del Signore e dei fratelli, si manifesta necessariamente sotto il segno del sacrificio pasquale, e per amore va incontro alla morte, e attraverso la morte alla vita e all’amore. Donde la condizione del cristiano, e in primo luogo dell’apostolo, che deve diventare il «modello del gregge» (44) e associarsi liberamente alla passione del Redentore. Essa corrisponde così a ciò che è stato definito nel Vangelo come la legge della beatitudine cristiana, in continuità con la sorte dei profeti: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi» (45).

Tratto dall’Esortazione apostolica Gaudete in Domino di papa Paolo VI (nn. 36-45)