Un istituto tutto fondato sulla carità

L’Istituto delle Suore di carità fu fondato a Lovere (Bergamo) il 21 novembre 1832 da Bartolomea Capitanio con la collaborazione di Caterina Gerosa e con la guida illuminata di don Angelo Bosio.

Nella sua testimonianza don Bosio scrive: “Certifico io sottoscritto che nella mattina del giorno 21 novembre 1832, festa della Presentazione di Maria Santissima, in questa chiesa parrocchiale di San Giorgio le religiosissime giovani Caterina Gerosa e Bartolomea Capitanio hanno ricevuto la Santissimo Comunione dalle mani di don Rusticiano Barboglio che celebrava per le medesime la Santa Messa all’altare di Maria Santissima Addolorata. Finita la Santa Messa si portarono nella casa, che era prima Gaia, ora detta il Conventino dove, posta l’immagine di Maria Santissima tra mezzo a due candele accese, inginocchiate fecero con i sentimenti della maggior devozione l’offerta di loro stesse a Dio per le mani di Maria Santissima, e delle loro sostanze, consacrandosi interamente alle opere di carità nel servizio dei poverelli in quel modo che a Dio piacesse. Queste sole due, per amore e per i sentimenti più che sorelle, diedero principio al santo Istituto delle Suore della carità, e cominciarono in questa casa allora così povera e nuda che mancava dei mobili più necessari e pel mangiare e pel dormire, ma furono quel granello di senape evangelica, che meravigliosamente crebbe e si diffuse. Tanto si attesta per la pura verità, e sotto giurata mia fede, essendone io stesso testimonio, non solo, ma sommamente di ciò edificato e commosso”.

Il riconoscimento ecclesiale della santità di Bartolomea e di Vincenza – la canonizzazione – è il coronamento, la celebrazione di un’esperienza cristiana che si costruì e si sviluppò dentro la ferialità della loro vita a Lovere. La canonizzazione rimanda a questo vissuto, dove la chiamata alla santità – la santità offerta – fu accolta e corrisposta da loro in grado eroico, secondo il giudizio della Chiesa. Questo significa che i princìpi spirituali che guidarono e plasmarono la loro esistenza sono di sicuro riferimento per noi e per tutto il popolo cristiano; significa che per la via da loro percorsa è possibile raggiungere la santità, diventare santi. In realtà, esse non fecero che ricalcare le orme di Cristo: rinviano perciò a lui, al Vangelo. Bartolomea ci vuole «seguaci del Redentore» (Carte di Fondazione 14), Vincenza addita la sapienza del Crocifisso. Non fermano a se stesse.

Il rito della canonizzazione si svolse il 18 maggio 1950, solennità dell’Ascensione del Signore. Dai documenti processuali e da altri testi prodotti durante le celebrazioni le due Sante emergono anzitutto insieme, in rapporto tra loro, l’una necessaria all’altra, complementare all’altra, grazie alla loro diversità: insieme e distinte per la specificità dei doni e delle funzioni a bene della medesima opera.

In quelle pagine una cascata di immagini – più che le parole – tenta di tratteggiare questo loro rapporto. Al card. Ildefonso Schuster, che le definì il «binomio di Lovere», piacque riprendere quella coniata dalla stessa Gerosa. «Il Signore – disse – volle aggiogare insieme un’aquila e un bove a trarre il carro dell’Istituto nel mondo». La riprese anche il postulatore della causa, padre Agostino della Vergine, nell’indirizzo rivolto al Papa dopo la lettura del decreto di canonizzazione della Gerosa: «Scelta dalla Provvidenza a continuare l’opera appena incominciata dalla Capitanio, che ella chiamava ‘l’aquila’ dall’occhio lungimirante, attribuì a sé l’appellativo di ‘bue’ e portò nell’opera stessa il contributo della sua distinta pietà, della sua mente equilibrata, del suo fine criterio, della sua larga esperienza».

Significativa anche l’immagine di Bartolomea come luce che «passò rivelatrice nella vita della Gerosa finché le ebbe rischiarata la via» e che la Gerosa poi trasmise a «tante sorelle alle quali seppe dare la guida chiara che ella aveva a sua volta ricevuta». Ricorrono anche le immagini della costruzione: Bartolomea progetta, Vincenza edifica, e dell’agricoltore: l’una pone il seme, affonda la radice; l’altra irriga e cura la crescita della pianta.