Come ogni anno, l’estate scorsa alcuni giovani, in ricerca anche se già impegnati in opere di bene, si sonorecati in Africa, presso opere gestite dalle nostre suore, per conoscere altre realtà e altre possibilità di aiutare i fratelli meno fortunati, ricevendo, in cambio, il dono della riconoscenza e l’impegno della verifica del proprio stile di vita.

Riportiamo l’eco della loro esperienza missionaria.

In viaggio per incontrare e conoscere. Questo il titolo di un testo, oggetto di riflessione durante uno degli incontri preparatori al viaggio missionario con le suore di Maria Bambina in terra zambiana, precisamente a Chirundu, una cittadina a sud del Paese al confine con lo Zimbabwe. Ospitati in una delle ‘guest house’ della comunità religiosa, a pochi passi dal «Mtendere Mission Hospital» e dall’orfanotrofio «Mudzi wa Moyo Children Home» nel «Villaggio della vita», abbiamo trascorso giornate segnate da numerosi incontri e momenti di condivisione, tra paesaggi e colori di una terra sconosciuta e in un contesto che mi è parso inizialmente alieno rispetto al mio stile di vita, ma al tempo stesso perfettamente naturale. L’energia trascinante delle bambine del «Mudzi wa moyo» con i loro sorrisi e abbracci, i pranzi con le suore e le cene nella ‘guest house’ allietati dalla compagnia dei volontari e dal personale dell’ospedale, le mamme con i loro bambini presso il servizio ambulatoriale a cielo aperto nei villaggi, le Messe e i canti, la lotta per la sopravvivenza di una vita nascente che non ha visto la luce del giorno successivo… tutte queste esperienze (per citarne solo alcune) per me sono state connotate da un comune denominatore: la ricchezza dell’incontro. Tale ricchezza ha rafforzato in me il desiderio di conoscere e, in una realtà in cui l’ho avvertito fortemente, il senso della comunità come luogo di accoglienza e di condivisione. Nella lunga fase di decantazione del rientro ancora in corso, mi scopro a desiderare di vedere trasformata, a poco a poco, la mia sensibilità da un viaggio che mi ha fatto vivere il ‘mal d’Africa’, anche se, a dire il vero, ritengo sia più corretto chiamarlo il ‘bene d’Africa’.    Nensì

Questa esperienza è stata per me sicuramente emozionante. Si tratta di emozioni scaturite dall’incontro con situazioni umane straordinarie. Penso alle giovanissime mamme dagli sguardi umili nei villaggi delle campagne zambiane, dignitose nei loro sgargianti ‘chitenge’, forse l’unico indumento in loro possesso. Penso a Rosy, donna italiana di settant’anni che ha radicalmente cambiato vita trasferendosi in Zambia per adottare Joseph, un ragazzo zambiano orfano e disabile dalla nascita. Ricordo di essere rimasto scioccato dai racconti di suor Erminia, il medico dell’ospedale di Chirundu, riguardo all’alta eventualità di morire per parto o per banalissime malattie. Ricordo gli sguardi e i sorrisi delle bambine dell’orfanotrofio «Mudzi wa moyo». Queste sono le immagini rimaste impresse nella mia mente e nel mio cuore. Tornato ormai alla quotidianità brianzola, mi chiedo: che cosa posso fare per loro, ora? Le cose che posso fare sono poche, non mi sembrano sufficienti; la distanza, inoltre, è un grosso limite, perciò mi sento abbastanza impotente. Però posso sicuramente dare una piccola testimonianza di questa esperienza ai miei alunni della scuola media, provando a suscitare in loro qualche emozione positiva che punti almeno a sensibilizzarli nei confronti dei popoli che vivono in condizioni disagiate. Quanto al mio futuro, mi piacerebbe ripetere un’esperienza missionaria simile, magari in qualche altro luogo nel Sud del mondo.   Matteo

E sono proprio giorni come questi che ti riportano alla mente quei ricordi, quei colori, quei profumi. Giorni in cui tutto sembra troppo frenetico, dove si fatica a trovare il tempo di ascoltarsi, giorni in cui leggi i giornali e ti sembra che il mondo stia davvero girando al contrario. È proprio lì che ti riaffiorano quelle sensazioni di quiete, di spontaneità, di amore. Perché in Africa, in Zambia, a Chirundu, ogni giorno la cosa più naturale è alzarsi con il sorriso, è scambiarsi il buongiorno perdendosi negli occhi neri, è abbracciarsi e stare insieme, cercando di aiutarsi ogni giorno un po’, reciprocamente. È vedere quanto un piccolo gesto possa essere prezioso, quanto il contatto umano, a volte timido, a volte travolgente, sia colmo di puro affetto e rispetto, e quanto arricchente sia darsi la possibilità di conoscersi l’un l’altro. Non si può tornare da lì non sentendosi cambiati, non sentendosi forse anche un po’ arrabbiati, non sentendo dentro quella voglia di tornarci ancora.   Greta