Maria si alzò e andò in fretta: questa semplice, ma fondamentale annotazione di Luca sul comportamento di Maria è ciò che ci impedisce di pensare che la Visitazione sia altro rispetto all’Annunciazione, come se fossero due eventi separati.

È vero che storicamente avvengono in luoghi e tempi diversi, cambiano i protagonisti e la stessa liturgia li celebra come tali in due giorni distinti, ma i due eventi sono nel loro significato salvifico stretti in una unità inscindibile. A tal punto che la Visitazione si configura come il compimento dell’Annunciazione stessa, perché costituisce per Maria il ‘segno’ tangibile della verità delle parole dell’angelo. È proprio l’angelo dell’Annunciazione che lascia a Maria questo ‘segno di Dio’: «Anche tua cugina Elisabetta, pur nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei che tutti dicevano sterile».

Ed è il desiderio, direi la necessità per Maria di verificare, toccare questo segno che la fa alzare subito per correre da Elisabetta. Corre certo per premura e carità fraterna, ma corre principalmente per incontrare il ‘segno’ e dare certezza e radice al suo «sì» pronunciato nella fiducia, con disponibilità e libertà, a Dio. Il grembo, gravido e visibile di Elisabetta, porta Maria alla presa di coscienza definitiva che il progetto di Dio su di lei non è irrealizzabile promessa, ma è inconfutabile certezza.

La grande arte antica medioevale si è spesso confrontata con questo particolare momento, cogliendo la verità dell’incontro nel gesto originale con il quale viene dipinta Elisabetta. Se Maria abbraccia con entusiasmo la cugina, Elisabetta, nel ricambiare il saluto, con la mano tocca delicatamente il ventre di Maria, già ‘tocca il mistero’ e ne rivela e testimonia per prima la veridicità. Come se la madre anticipasse la missione e il gesto che saranno propri del figlio precursore: «Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo»; lo stesso sussultare del bambino, al sesto mese nel grembo della madre, ne è una conferma.

Se dunque nell’Annunciazione l’angelo è la voce della promessa divina, qui Elisabetta è la conferma dell’agire di Dio. È questo il senso del saluto di Elisabetta che, colmata del medesimo Spirito, prima esce in un’estatica ed entusiasta ammirazione per Maria: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!», poi si fa la domanda: «A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?» e, infine, raggiunge il vertice della beatitudine, la prima, che i Vangeli riportano: «E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Il segno è riconosciuto da Maria e il bambino di Elisabetta non solo sussulta, ma sussulta di gioia nel grembo della madre. Marian è venuta da Elisabetta per ‘credere’, per dare radice e fondamento

a quel «sì» col quale si è promessa e affidata a Dio; è venuta per riconoscere, incontrare e abbracciare il ‘segno’ che Dio ha preparato per lei. Solo adesso, solo qui Maria è veramente e totalmente di Dio e, nello splendido canto del Magnificat, riconosce e declina con gioia straripante le opere che Dio va compiendo in lei, come frutto del suo credere alle parole dell’angelo e del suo concedersi, libero e responsabile, a Dio: «Avvenga di me quello che tu hai detto».

Il Magnificat è il canto di questo ‘avvenire di Dio’ in lei. La visitazione è la festa del ‘segno’ per Maria, ma anche del ‘segno’ che tutti noi siamo chiamati a essere in forza del Battesimo, che ci ha colmati di grazia e di Spirito Santo, perché chi ci incontra, per qualsiasi motivo, abbia a dare impulso al suo credere o, magari, essere stimolato a recuperare una fede troppo spesso emarginata o a iniziare un cammino nuovo che lo avvicini al mistero dell’amore di Dio.

La carità di Dio è la ‘visitazione’ con la quale egli incontra, si rivela e abbraccia l’uomo e noi ne dovremmo essere ‘segni’ credibili per i fratelli. Anche noi siamo chiamati a essere ‘portatori di Dio’, così che il nostro incontro con il fratello sia sempre o sempre di più una ‘visitazione di Dio all’uomo’. Siamo chiamati a generare la carità, quella vera, non ipocrita, che si declina nelle cose semplici, quotidiane, che sa dare un sapore diverso, nuovo, sorprendente ai nostri rapporti, che sa essere seme contagioso di bene, di verità, di bellezza, di giustizia.

 mons. Domenico Sguaitamatti