Bartolomea Capitanio
IL CORAGGIO DELL’AMORE

di Albarica Mascotti

Così pregava Bartolomea Ho conosciuto quanto sia grande il tuo amore verso di me, o Dio. Non ero ancora nata e tu già pensavi a me, mi amavi e mi preparavi grazie grandi.
Adesso mi ami con un amore infinito, vegli alla mia difesa, cogli tutte le occasioni per darmi prove del tuo amore, mi stai continuamente vicino, mi perdoni, mi chiami e sembra che tu non sia contento finché non ti vedi amato da me.
Gesù, troppo mi ami! Voglio anch’io amarti con tutte le mie forze.

Io so, Gesù, che l’amore per te non va mai separato da un vero amore del prossimo.
Perciò tutto quello che mi hai donato: la vita, la salute, il talento, i pensieri, le parole, le azioni, la roba, lo impiegherò a vantaggio e sollievo dei miei cari fratelli.
Tu aiuta la mia debolezza e dammi coraggio nelle difficoltà. Fa’ vedere che lo strumento più povero nelle tue mani onnipotenti può fare le cose più grandi.
Maria Santissima, insegnami tu ad amare il mio prossimo.

Un gioco importante
L’anno scolastico era ormai bene avviato nel collegio di Santa Chiara a Lovere (Bergamo) e anche le nuove arrivate si movevano con disinvoltura nell’ala del convento riservata alle alunne.
A suor Francesca, una delle maestre, sembrava il momento giusto per far loro capire quanto fosse prezioso il dono dell’educazione, tanto più che allora – era il 1818 – non tutte le ragazze del paese potevano andare a scuola. Bisogna – pensava – che imparino subito a impiegare bene il tempo, compiendo con amore i piccoli impegni della vita cristiana e dello studio.
Le erano così affezionate che bastò un cenno per chiamarsele attorno. Discorse con loro di queste cose e poiché le vedeva interessate tentò di lanciare una proposta coraggiosa:
– Non dobbiamo però accontentarci di essere buone; dobbiamo farci sante!
Quelle ragazzine sapevano bene che cosa significasse ‘santità’ perché in classe, poco per giorno, la maestra leggeva il libro di san Luigi Gonzaga. Forse non pensavano, invece, che fosse cosa possibile anche a loro.
Suor Francesca tacque per lasciarle riflettere, poi chiese a bruciapelo:
– Qualcuna di voi vuole farsi santa?
– Io lo voglio! Anch’io, anch’io, io, io…
– Sento che tutte lo desiderate, ma ci sarà pure una che lo vuole diventare per prima!
– Io, io, io… – fu ancora la risposta.
Vedendo che la gara si faceva vivace, alla maestra venne l’idea di proporre un gioco.
– Portatemi un mazzetto di pagliuzze! Chi estrarrà la più lunga si impegnerà a farsi santa per prima.
Tutte sciamarono in giardino divertite e in un battibaleno furono di nuovo attorno alla maestra. Essa riunì i fuscelli che le porgevano; poi le fece sfilare a una a una per l’estrazione; infine confrontò la lunghezza delle pagliuzze. Tutte erano impazienti di sapere…
– La più lunga è quella di Bartolomea! – annunciò suor Francesca incrociando lo sguardo di quella ragazzina di undici anni, che prometteva già così bene nello studio, e non solo!
La prescelta si accese in volto e scoppiò in un pianto di gioia. Nel suo cuore aveva pregato che toccasse a lei quella fortuna e, appena poté sottrarsi all’attenzione delle compagne, corse nella cappella a ringraziare Maria di quel favore e a chiedere il suo aiuto.
Inginocchiata davanti alla sua immagine, promise che si sarebbe impegnata a tutti i costi.
– Voglio farmi santa, gran santa, presto santa! – disse, sapendo di aver preso una decisione importante.

Chi è Bartolomea
Quella ragazzina era nata il 13 gennaio 1807 a Lovere, un paese che si specchia nel lago d’Iseo, e in famiglia la chiamavano semplicemente Meulì.
Papà Modesto faceva il negoziante di grano e mamma Caterina passava buona parte del giorno nella piccola bottega a pianterreno della casa.
Bartolomea ebbe altri fratellini, ma morirono presto e rimase solo Camilla a condividere con lei gli affetti e i giochi.
Da piccola, era difficile tenerla ferma in casa o dietro il bancone del negozio. Le pareva un trionfo quando riusciva a sgusciare dalla porta sul selciato di quella stradina medioevale, che serpeggiava stretta tra le case.
Non ci voleva molto per attirare l’attenzione del vicinato! Subito le bambine formavano crocchio attorno a lei che immancabilmente, a un certo punto, proponeva decisa:
– Giochiamo alla maestra!
Naturalmente la maestra era lei. Mamma Caterina la osservava dalla bottega e cominciava a pensare che si doveva pur tener conto di quella sua spiccata inclinazione…
Crescendo, Bartolomea cominciò a capire che quelli che viveva erano anni difficili: le guerre tra francesi e austriaci avevano lasciato il loro segno nel paese e nell’animo della gente; si era poi aggiunta, nel 1816, una terribile carestia che aveva gettato tante famiglie sulla strada in cerca di qualcosa per sopravvivere.
I genitori di Bartolomea potevano dirsi fortunati perché, pur con fatica, riuscivano a mettere insieme il necessario per la famiglia e anche qualcosa di più che poi finiva nelle mani dei poveri che bussavano alla porta.
A Bartolomea rimanevano impressi quei volti pieni di angoscia e dalla mamma imparava ad amarli, riconoscendo in essi “l’immagine viva di Gesù”.
Ci fu poi una svolta negli avvenimenti politici che aprì uno spiraglio di tranquillità nella vita del paese. Ne era un segno il ritorno delle monache clarisse che, in seguito alle leggi rivoluzionarie, erano state scacciate dal loro convento.
Quando mamma Caterina seppe che avevano aperto una scuola per le ragazze, pensò che era proprio quello che ci voleva per Meulì. Aveva sì ricevuto un po’ di istruzione, ma poteva imparare di più. E poi… quella voglia di primeggiare andava bene indirizzata!…
In fondo in fondo Bartolomea, sebbene vivace, era una ragazzina docile: in occasione della sua prima Comunione, a dieci anni, aveva mostrato che sapeva impegnarsi con serietà: andava solo coltivata!
Fu così che l’11 luglio 1818 Bartolomea con la mano in quella della mamma si avviò verso il collegio. Quella sera in famiglia tutti sembravano più tristi senza Meulì, ma sapevano che quel sacrificio era per il suo bene.

Il “voglio” in azione
Bartolomea non dimenticò più quel ‘voglio’ promesso a Maria: le si era come fissato nel cuore.
In collegio le occasioni per tenerlo in esercizio non mancavano: ne trovava nelle ore di studio, nelle ricreazioni, a tavola, nei momenti di preghiera… Aveva un bel da fare a vincere le piccole impennate del suo carattere un po’ orgoglioso e della sua sensibilità facile a risentirsi. Per correggersi, la sera faceva l’esame di coscienza e annotava tutto su un quadernetto: “Oggi ho stentato a obbedire; ho avuto a male di una parolina detta a mio rimprovero…
Oggi mi sono scusata due volte; sono stata un po’ aspra con una mia amica…”.
Segnava anche le vittorie con delle crocette che a poco a poco aumentarono, finché un giorno ne riportò una davvero eccezionale.
In classe, quella mattina, c’era un po’ di subbuglio per una certa marachella di cui non si trovava la colpevole. La maestra credette che anche Bartolomea vi avesse parte e la sgridò severamente davanti a tutte.
Essa ascoltò il rimprovero in silenzio, senza giustificarsi, poi tornò al suo posto contenta di aver evitato il castigo a un’altra. A questo punto, però, la vera colpevole non poté più tacere.
– Sono stata io, non Bartolomea! – confessò piangendo, mentre tutta la classe ammutiva per la commozione.
Quelle vittorie su se stessa le costavano molto ma le lasciavano una gran pace e una gioia segreta in fondo al cuore.
– Quello che faccio per amore – pensava sempre più convinta – non è mai pesante.
Così, un giorno, osservando quel bel mucchietto di dolci e di frutta che i genitori non le lasciavano mai mancare, decise di condividerli con le compagne che non ne avevano.
A tavola imparò a mangiare anche quello che non le piaceva, senza lamentarsi e farsi capire. Solo alla maestra, che si era accorta di quei sacrifici, confidò:
– Veramente mi costa un po’ di fatica castigare la gola, ma ho letto che san Luigi non la contentava mai.
Bartolomea cercava di scoprire nei libri come facevano i santi a diventare sempre più amici di Dio. Li voleva imitare! 

 Un bel regalo
Bartolomea non solo seguiva attentamente la lettura della vita di san Luigi, ma si faceva poi prestare il libro per rileggere quello che l’aveva colpita di più e ne parlava anche con le compagne.
Sorpresa!… Una domenica la mamma, che aveva capito il suo desiderio, arrivò in parlatorio con un libro uguale, ma tutto per lei: e fu il più bel regalo!
Bartolomea lo leggeva e lo rileggeva, approfittando di tutti i ritagli di tempo, fino a impararlo quasi a memoria, e le era così caro che la notte se lo poneva sotto il cuscino.
– Come mai tanto affetto per quel libro? – le chiese un giorno suor Francesca passandole accanto.
– Mi piace questa vita perché san Luigi mi insegna come si fa a diventare santi e poi perché la Chiesa stessa lo indica a noi giovani come modello.
Del resto la mamma l’aveva affidata proprio a lui quando, dopo la prima Comunione, erano andate insieme a Castiglione delle Stiviere a pregare dove san Luigi era cresciuto.
Per assomigliargli, Bartolomea si faceva anche aiutare dalla maestra e dal confessore: li pregava di correggerla e di insegnarle a “correre” sulla via del Signore. Ed era molto docile ai loro consigli.
Più di tutto, però era l’incontro con Gesù Eucaristia a metterle in cuore coraggio e allegrezza. Si preparava con grande desiderio come a un momento di festa, il più bello delle sue giornate. In quel tempo la Comunione quotidiana era un’eccezione, ma a lei fu permessa.
Sfogava spesso i suoi affetti anche a Maria scrivendole messaggi belli come questo: “Cara Mamma Maria, questo mio cuore non sarà mai soddisfatto finché non arderà tutto del tuo amore”.
Con questi aiuti e amici spirituali e con tanta buona volontà Bartolomea camminava veloce verso il suo grande ideale. E dietro a lei correvano anche le sue compagne, perché non voleva essere santa da sola.
– Giochiamo a gara a chi ama di più Dio – diceva loro, invogliandole a seguirla nelle sue iniziative.

Maestra a quindici anni

Passarono veloci quattro anni. Bartolomea aveva completato il corso di studi con ottimi risultati e i genitori non aspettavano altro che questo momento per riaverla a casa. Le maestre, però, li pregarono di lasciarla ancora con loro: avrebbe dato una mano nell’assistenza delle ragazze e nella scuola alle più piccole. Le capacità le aveva e insegnare era da sempre la sua passione!
Bartolomea si trovò così a fare la maestra a quindici anni, e non più per gioco! Ma non si smarrì: in breve le più grandi le si affezionarono come a una sorella maggiore e le più piccole erano felici di imparare da lei che le aiutava con pazienza nello studio e le incoraggiava quando era difficile essere buone.
Da tutte era specialmente atteso il tempo della ricreazione. Bartolomea sapeva organizzare giochi e gare che mettevano tanta allegria in cuore; e quando le bambine, stanche e accaldate, le si accoccolavano attorno, le intratteneva con canti e con bellissimi racconti.
Era quello anche il momento in cui progettavano insieme qualche piccolo impegno per prepararsi bene alle feste del Signore e della Madonna, impegni seri ma belli come giochi: i giochi dell’anima!
Bartolomea amava sempre di più quella vita ordinata e serena e stava volentieri con le ragazze, ma… un giorno arrivò al convento la mamma decisa a condursela a casa: in famiglia si sentiva proprio bisogno della sua presenza.
In quel momento Bartolomea si sentì combattuta da vari sentimenti: nostalgia delle persone e dell’ambiente, gratitudine per quello che aveva ricevuto e anche un po’ di timore per quello che l’aspettava…
Infine riconobbe nella voce della mamma quella di Dio e si preparò a partire. Venne fissato il 18 luglio per il suo ritorno. Era il 1824 e aveva diciassette anni e mezzo.
Quella sera aprì il suo quadernetto e scrisse: “E’ veramente una grande grazia essere stata educata qui, dove ho imparato ad amare il Signore e ho compreso quanto sia dolce servirlo”.

In famiglia 
In quegli ultimi giorni Bartolomea radunò le sue cose e si preparò anche un piccolo bagaglio spirituale fatto di consigli e di programmi utili per la sua vita in famiglia. Poi si raccolse in preghiera e presentò al Signore una nuova promessa:
– D’ora in poi scelgo te, Gesù, come unico padrone del mio cuore, dei miei affetti, di tutta me stessa. Sarò per sempre tua e voglio trovare in te tutta la mia gioia.
Era la festa della Madonna del Carmelo e Bartolomea volle affidare ancora una volta il suo proposito a Maria.
Al momento della partenza le maestre e le compagne la salutarono con un lungo abbraccio e tante lacrime.
– Bartolomea, ti lascio nel Cuore di Gesù, rimani sempre nel suo amore – le disse infine suor Francesca che piangeva più di tutte.
– Le prometto che farò proprio così – le rispose Bartolomea.
Poi la commozione le impedì di intrattenersi: discese in fretta lo scalone e si trovò nelle vie di Lovere verso casa. Era attesa, soprattutto dalla mamma, come quando si desidera il sole.
In famiglia non tutto andava bene. Papà Modesto frequentava un po’ troppo l’osteria e se beveva qualche bicchiere in più diventava aggressivo con tutti. Camilla cresceva scontrosa e ribelle. La mamma si nascondeva in cuore tanta afflizione.
Bartolomea comprese perché il Signore la voleva lì. Aprì ancora il suo quadernetto e scrisse: “Avrò verso i miei genitori grande rispetto perché tengono il posto di Dio, li obbedirò, li amerò e li aiuterò nei loro bisogni. Mi occuperò nei servizi domestici e li eseguirò con esattezza e con la gioia sul volto. Preferirò gli altri a me stessa per tenere la pace in famiglia”.
Non passò molto e una sera papà Modesto tardava più del solito a rincasare. Bartolomea si affacciava di tanto in tanto alla finestra spiando invano il suo arrivo, poi affrontò decisa il buio nelle vie appena disegnate dal chiarore della luna e lo cercò passando davanti alle osterie del paese. Lo intravide da una porta socchiusa: giocava a carte con un amico. Si avvicinò calma e gli si sedette accanto.
– Papà, termina pure la partita. Poi ti devo parlare. Ti aspetto.
– Va bene! siamo alle ultime battute.
Gli diede poi il braccio e parlandogli con bontà lo ricondusse a casa, docile come un agnello.
Un’altra volta Bartolomea era tutta intenta a riordinare la cucina quando dalla finestra le giunsero delle voci concitate. Il padre era stato provocato a torto da un vicino e, dopo aver resistito a lungo, non riusciva più a trattenersi. Intuendo che sarebbero presto passati dalle parole alle mani, Bartolomea veloce come un fulmine fu in mezzo a loro: afferrò il padre per un braccio convincendolo a ritirarsi e lasciò l’altro senza mostrargli alcun risentimento o rivolgergli rimprovero.
Bartolomea era convinta che con l’amore si ottiene tutto: lo imparava dal Crocifisso a cui pensava spesso e specialmente nei momenti difficili.
E Camilla? Con lei ci voleva una pazienza a tutta prova. Non era cattiva, a volte sapeva anzi essere molto generosa; ma aveva anche sempre pronta qualche impertinenza. Approfittava spesso della bontà della sorella, come quando le stracciava sotto gli occhi i foglietti delle preghiere appena preparati per le amiche.
Bartolomea sopportava tutto; non solo ma la sera, nella sua camera, si esaminava se era stata aspra nel parlare con lei, se l’aveva compiaciuta nei suoi desideri, perfino… se le aveva obbedito…
Ci volle tanto tempo, ma un giorno a una persona amica poté confidare con gioia: “Camilla adesso è quietissima, obbedisce e continua con coraggio il cammino della bontà”.
A poco a poco ci fu più pace in famiglia ed era bello soprattutto la sera quando tutti insieme, compreso papà Modesto, recitavano il Rosario e ascoltavano una buona parola che Bartolomea leggeva in qualche libro, che aveva sempre a disposizione.

Scritte nel cuore 
La domenica pomeriggio Bartolomea aveva il suo spazio di libertà. Dopo la celebrazione in chiesa anche lei si univa alle ragazze che leste leste raggiungevano la casa dei Gerosa proprio all’inizio della via che discende al piccolo porto del lago.
Le precedeva la ‘sciura’ Caterina – così la chiamavano in paese – che, arrivate, spalancava il portone e le accompagnava in una grande sala dove pregavano, ascoltavano racconti interessanti e si divertivano fino a sera, come in un vero oratorio.
Il vescovo di Brescia, mons. Gabrio Nava, da tempo raccomandava ai sacerdoti di creare luoghi di incontro per i giovani, e Caterina Gerosa, d’accordo con il parroco, aveva accolto le ragazze nella sua grande casa, rimasta quasi vuota per la morte dei genitori e degli zii.
Quando Bartolomea cominciò a frequentarla, Caterina capì subito che poteva esserle di aiuto nell’organizzare le riunioni e i giochi. Di fatto divennero presto amiche.
Le giovani, passandosi parola, accorsero sempre più numerose tanto che casa Gerosa non le conteneva più e si dovettero trasferire in un locale della parrocchia.
– Caterina, che dici se dedichiamo il nuovo oratorio a Maria Bambina? Sarà bene anche preparare un regolamento ora che siamo in tante e in seguito con le più impegnate si potrebbe formare la compagnia di san Luigi…
– A questo pensa tu, Bartolomea; per te è facile scrivere… Io mi occupo della cappellina: è tutta da restaurare e da arredare e a me i mezzi non mancano.
Intanto nelle case le mamme erano felici di sapere le loro figlie in così buone mani.
Bartolomea raddoppiava le sue cure per le ragazze più bisognose perché povere o orfane o un po’ sviate.
– Queste – diceva a se stessa – scrivile nel tuo cuore e non ti dimenticare neppure di una.
Delle belle possibilità di Bartolomea si accorsero anche il parroco don Rusticiano Barboglio e il suo coadiutore don Angelo Bosio.
– Abbiamo pensato – le dissero incontrandola un giorno all’oratorio – che potresti anche insegnare a leggere e a scrivere alle ragazze che non sono mai state a scuola o che non possono frequentare quella del convento. Prova a parlarne in famiglia.
I genitori le misero subito a disposizione un piccolo locale accanto al negozio e Camilla l’aiutò a trasportarvi alcune panche. Bartolomea fece il resto e così bene che molte mamme la supplicarono di accogliere le loro figlie, piccole e grandi, e così anche la scuola dovette presto traslocare in un ambiente più ampio presso la canonica.
Bartolomea esigeva disciplina e serietà nello studio ma, a differenza delle maestre del suo tempo, si era proposta di non ricorrere mai ai castighi. Non ce n’era neppure bisogno perché otteneva tutto con la dolcezza. Voleva molto bene alle sue scolare e voleva che anch’esse si amassero. Certamente succedevano pure tra loro disaccordi e litigi. Con pazienza allora le aiutava a riconciliarsi e non riprendeva la lezione finché non si fossero date il bacio di pace.
Tutte poi andavano a gara per assomigliare in qualche cosa alla loro maestra. Quella che ci riusciva meglio era Elena Omio, una ragazzina bella e buona come un angelo.
– La Elena è un fiorellino per il Signore – disse Bartolomea udendo che si facevano su di lei tanti progetti.
Fu come una previsione: il Signore se lo colse molto presto per trapiantarlo in Cielo.
Un’altra, Rosa Maveri, conservava come un tesoro il quaderno dei dettati perché Bartolomea dettava cose utili per la vita. A quelle poi che concludevano lo studio lasciava i “Ricordi”, che erano avvertimenti preziosi per il loro futuro. Incominciavano così: “Ricordatevi che Iddio è il vostro principio, che siete create da lui e per lui, che dovete amarlo sopra ogni cosa e dirigere tutte le vostre azioni alla sua maggior gloria; … comportatevi in modo che il Signore possa trovare in voi le sue delizie e il vostro cuore sia una dolce abitazione per lui…”.
Gli effetti di questa educazione c’erano, perché in paese si notavano subito le alunne di Bartolomea.
– Non c’è da meravigliarsi, – si diceva, – ha talento ed è una santa che fa scuola

Il coraggio dell’amore
Una e anche due volte al giorno Bartolomea infilava svelta la via che sale verso porta Seriana, all’estremità del paese. Lì, proprio in quegli anni, si era avviato un piccolo ospedale per i poveri. Aveva donato la casa Ambrogio Gerosa, zio di Caterina, la quale si era poi data da fare per completare l’opera. Chiese collaborazione anche a Bartolomea, affidandole il compito di economa e direttrice.
Così, nelle sue giornate, già fitte di impegni, Bartolomea trovò pure il tempo per tenere aggiornati i registri e soprattutto per visitare gli ammalati che chiamava “le delizie del mio cuore”. Anch’essi l’attendevano con grande desiderio e i primi che spiavano il suo arrivo facevano subito correre la voce:
– Arriva la Bartolomea, arriva la Bartolomea!…
– Sono qui! Eccomi con voi!
Ed era presto festa!
Essa li avvicinava a uno a uno, li ascoltava, li serviva, poi pregava insieme con loro e li preparava a ricevere i Sacramenti. Il medico dell’ospedale, dott. Luca Bazzini, diceva che l’aveva vista curare piaghe ributtanti con tanto amore che sembrava non ne avesse nessuna ripugnanza.
Per riuscirvi aveva il suo segreto, come sempre affidato a una pagina del suo quadernetto: “Cercherò d’imparare da te, Gesù, il modo di servire gli ammalati. Ti prometto che non guarderò a fatica, a tempo, a incomodo per portare loro un po’ di sollievo”.
Un giorno Bartolomea arrivò all’ospedale con un giovane vagabondo, trovato per strada, malato nel corpo e più ancora nell’anima. Essa fece di tutto perché, una volta guarito, non riprendesse la strada del vizio, ma sembrava che non ascoltasse; infine, non sapendo più che cosa pensare, lo supplicò inginocchiata ai piedi del letto.
A questo punto il giovane si sentì scosso e tutto cambiato.
– Ti prometto, Bartolomea, che brucerò i romanzi cattivi che possiedo e leggerò i libri che mi hai dato tu. E ora chiamami il sacerdote…
Uscendo poi dall’ospedale, diceva a tutti quelli che incontrava:
– Voi avete in paese una santa senza saperlo!
Qualche anno dopo qualcuno lo rivide con il saio di san Francesco.
Bartolomea raggiungeva i giovani sviati ovunque fossero, perfino nel piccolo carcere del paese. Il coraggio non le mancava come quando, dette tre Ave Maria, entrò decisa in una casa dalla quale uscivano grida frammiste a pianti, mentre sulla via si radunava un capannello di curiosi.
Vi giunse appena in tempo per fermare la mano di un ragazzo che voleva colpire il padre, mentre in un angolo, le sorelle e la madre li supplicavano terrorizzate.
Al suo apparire improvviso i due si arrestarono impietriti. Bartolomea afferrò rapida la mano del ragazzo e, rassicurati i familiari, lo invitò a seguirla fuori in strada, sotto lo sguardo attonito della gente, fino alla sua casa.
– E ora siediti qui, mentre io ti preparo una bevanda che ti aiuti a rimetterti calmo.
Intanto lo lasciava dire tutte le sue ragioni. Poi gli si sedette accanto e, con amabilità e forza, lo fece riflettere sulle conseguenze che sarebbero potute derivare dal suo gesto:
– Avresti offeso Dio che ci è così buon Padre…; la tua famiglia e le persone che ti vogliono bene vivrebbero ora chiuse in un immenso dolore…; in paese ci sarebbe un grande sconcerto…; e di te che cosa sarebbe ora?… Prova a pensare…
A mano a mano che parlava vedeva che il ragazzo si rabboniva. Era pentito.
– Ora possiamo tornare dai tuoi a fare pace: sii forte!
Assistette lei stessa alla richiesta reciproca di perdono, che riportò, anzi accrebbe, in quella famiglia la concordia e la gioia.
Quella sera nel silenzio della sua camera Bartolomea si disse, come tante altre sere:
– Mi piace troppo fare del bene ai miei prossimi. Voglio impiegare tutta la mia vita nella carità. Voglio assomigliare a Gesù che a questo mondo faceva del bene a tutti. Con il suo aiuto affronterò anche le situazioni difficili.

La cascina 
Puntualmente arrivava anche il settembre con il suo cielo limpido e con le prime dorature dell’autunno sulle siepi, sui gelsi e sui castagni attorno alla cascina Mariet a Sellere, un paesino poco distante da Lovere.
Ogni anno, nell’ultimo scorcio del mese, Bartolomea lo raggiungeva percorrendo a piedi un sentiero, poi saliva tra campi e prati la china del monte fino alla cascina, che era per la famiglia Capitanio come un’appendice di casa. Da qui Bartolomea lasciava spaziare lo sguardo nella valle godendo di quella “natura così bella e varia” e di quel silenzio, che per una settimana avrebbero fatto da cornice ai suoi Esercizi spirituali.
Le faceva compagnia la nonna, ma Bartolomea aveva una cameretta tutta per sé: disponeva sul tavolino il Crocifisso, i libri che le aveva imprestato don Angelo, l’inseparabile quaderno, il calamaio e la penna; poi si tuffava nella meditazione…
Pensava che Dio le voleva proprio bene: l’aveva creata a sua immagine e arricchita di tanti doni, le aveva dato genitori e insegnanti premurosi, amiche buone, un luogo così bello, e più ancora la fede, la possibilità di fare tanto bene in casa e in paese…
Poi volgeva lo sguardo al Crocifisso, lo guardava a lungo, ascoltava che cosa gli diceva il suo amore giunto a quel punto…; infine, piena di stupore e di gratitudine, gli parlava così:
– Gesù, il tuo è davvero un amore troppo grande! Sei morto in croce per dirmi quanto mi ami… E adesso mi stai sempre vicino, mi perdoni, mi doni tutto te stesso nell’Eucaristia… E io, così piccola, povera e spesso cattiva, che cosa posso fare per te?
Tornava a casa, dopo quei giorni, sempre più convinta di avere un cuore fatto per amare con la carità imparata da Gesù.
A Sellere Bartolomea capitava altre volte e specialmente nei giorni di carnevale con una bella schiera di bambine e di ragazze piene di voglia di divertirsi. Lì, sui prati, suonava il cembalo, mentre tutte le salterellavano attorno felici come non mai. Bartolomea le voleva allegre nel cuore; a lei piacevano i volti gioiosi.
Qualche volta la trovavano a Sellere anche le amiche. A Matilde Marinoni poi era capitata proprio bella. Giunta in paese, vide Bartolomea venirle incontro, come se avesse saputo del suo arrivo. Zoppicava per un gonfiore ai piedi, ma non vi badava.
– Matilde, che bella sorpresa mi fai! Ci godremo qualche giornata insieme. Abbiamo tante cose da raccontarci…
– Mi dispiace, Bartolomea, ma vengo da Lovere, dove ti ho cercata, e prima di sera devo tornare a Rovetta perché i miei genitori mi aspettano.
– Allora vieni a vedere dove abito, così ti puoi riposare un po’: hai camminato tanto e mi sembri molto stanca.
– E’ vero, e non sto del tutto bene!
– Cercheremo di sfruttare intensamente questo momento.
Il tempo, però, scorreva via veloce mentre discorrevano lungo il sentiero e in casa.
– Ora bisogna che facciamo il sacrificio dei nostri desideri per non lasciare in pensiero i tuoi genitori – disse Bartolomea vedendo che il sole declinava –; io ti accompagno per un tratto di strada, poi corro in chiesa a pregare Maria che ti custodisca nel viaggio; lì c’è un immagine che mi piace tanto! Tu ferma il primo veicolo che passa, qualunque sia la persona che lo guida, e chiedi di farti salire. Non preoccuparti di nulla!
Fecero così e, quando si trovò sola, Matilde sentì sopraggiungere un carro. Lo fermò, ma si accorse che non era proprio affidabile: i puledri che lo trainavano non sembravano ancora bene domati e i due uomini che stavano a cassetta erano evidentemente ubriachi.
Matilde ebbe un attimo di smarrimento: non sarebbe stata davvero prudenza accettare il posto che le venne subito offerto, ma fu come spinta a salire dalla parola sicura di Bartolomea.
– Non avere paura! – farfugliò uno dei due accorgendosi della sua titubanza –; ti faremo buona compagnia.
Li udì poi bisbigliare tra loro:
– Stiamo attenti a non dire parole scorrette; parliamo di religione: è una giovane da rispettare!…
E con tanta gentilezza la condussero proprio sulla porta di casa. Al padre, che la voleva rimproverare per quell’imprudenza, Matilde spiegò:
– Papà, mi sono sentita sicura della parola e della preghiera di Bartolomea.
– Se è così mi piacerebbe proprio incontrare un giorno quella tua amica!

Amiche vere 
Scendevano le ombre della sera sul paese, poi la notte spegneva i lumi nelle case, ma la giornata di Bartolomea non era finita. Dopo la preghiera con i genitori e Camilla, essa si ritirava nella sua camera, accendeva la candela, pregava ancora inginocchiata sul pavimento, poi scriveva alle amiche. Ne aveva tante anche nei paesi più o meno vicini a Lovere: Marianna, Lucia, Giulia, Regina, Marta, Pierina e altre ancora.
Era molto stanca e aveva gli occhi pesanti di sonno, ma diceva che sedersi a tavolino e conversare con loro, anche se solo con la penna, era già per lei un sollievo. Le considerava un dono di Dio, perché la aiutavano a crescere nell’amore del Signore e del prossimo.
Si era proposta di non scrivere cose inutili; comunicava loro le sue esperienze spirituali, chiedeva e dava consigli, consolava. A quel lume di candela nascevano anche belle iniziative per gli oratori che le amiche animavano nei loro paesi. Ciascuna poi se le trascriveva e le passava a un’altra, perché allora non c’erano le fotocopiatrici. Da quel tavolino partiva una vera catena di bene.
Don Angelo seppe dal parroco di Sonico che una lettera scritta da Bartolomea a un’amica aveva fatto il giro del paese portando più frutto di una predicazione.
– Ci vorrebbe una Bartolomea per parrocchia!” – dicevano i sacerdoti dei dintorni, quasi invidiando la fortuna di Lovere.
Qualche volta in quelle tarde ore Bartolomea scriveva anche a suor Francesca, che continuava ad avere un posto speciale nel suo cuore. Più spesso però si recava al convento, dove era sempre festosamente accolta da tutte: monache e alunne. C’era poi suor Antonia che arrivava in parlatorio addirittura con tutta la sua classe e che immancabilmente le diceva:
– Bartolomea, eccoti le ragazze; di’ loro qualche buona parola!
Era sicura che sarebbero tornate in aula più volenterose e più buone.
Con una gioia speciale in cuore, una sera, Bartolomea scrisse anche a Caterina, sebbene abitasse a due passi dalla sua casa e la incontrasse spesso. Incominciò la lettera così: “Sorella carissima in Gesù, non posso fare a meno di scriverti due righe su quella cosa di cui abbiamo parlato…”.
Prima di dirle ‘quella cosa’ Bartolomea aveva pensato e pregato a lungo; aveva chiesto consiglio anche a don Angelo. Poi era andata decisa da Caterina, l’aveva chiamata in disparte come quando si devono comunicare cose importanti e segrete e con amabilità le aveva detto:
– Caterina, mi è venuto un pensiero che non mi lascia né di giorno né di notte e mi pare proprio che venga da Dio. Così mi ha assicurato anche don Angelo. C’entri anche tu. Ora ti spiego: tu sai meglio di me che nel paese ci sono tanti bisogni, tante povertà da soccorrere e a noi due piace darci da fare per aiutare il nostro prossimo, come ci insegna Gesù. Se ci mettessimo insieme per sempre, in una casetta, forse poi anche alcune delle nostre amiche si unirebbero a noi e insieme potremo fare tanto bene e farlo meglio…
– Tu sogni a occhi aperti, Bartolomea! Pensi a una cosa troppo grande; io non riesco neanche a immaginarmela; io… io sono fatta per le cose piccole, quotidiane e poi ho ormai la mia età, le mie abitudini di vita, tu sei più giovane…; a me basta quello che facciamo ogni giorno… Ti prego non parlarmene più.
– E se questa, Caterina, fosse la volontà di Dio per noi?…
– Oh!… allora ci devo ripensare… Adesso però sono troppo sconcertata!
Di fatto Caterina ci aveva ripensato, ma c’era voluto del tempo e quando era tornata sul discorso aveva detto semplicemente così:
– Io non sono persuasa di questo, ma se Dio vuole così, sia fatta la sua volontà.
Da allora divennero come sorelle.
Poiché era successo tutto questo, quella sera Bartolomea continuò la lettera così: “Sospiro ardentemente il momento di essere unita a te per operare a gloria di Dio e a vantaggio del prossimo. Facciamo di tutto perché la cosa riesca presto. Non poniamo nessun ostacolo all’opera del Signore. Mettiamoci nelle sue mani e cerchiamo solo la sua volontà e il maggior bene del prossimo. La tua aff.ma sorella Bartolomea” 

Al Conventino 
Da quel momento non fu però tutto facile. Caterina dovette sopportare i rimproveri della zia che sarebbe rimasta sola con la domestica nella sua grande casa. Bartolomea ebbe a lungo il padre ammalato che la voleva sempre vicino; ma anche lei non volle staccarsi dal suo letto: lo assistette con amore, lo preparò a ricevere i Sacramenti e, quando morì, pianse tutte le sue lacrime. Dovettero affrontare tante altre difficoltà.
– Proviamo tutte le chiavi – incoraggiava Bartolomea –; provato tutto, ci inginocchieremo aspettando che il Signore ci apra la porta.
Alla fine, con l’aiuto del parroco e di don Angelo, trovarono la ‘casetta’ lassù, vicino all’ospedale, e ormai non vedevano l’ora di abitarla.
Giunse così il 21 novembre 1832. Bartolomea si alzò che era ancora notte fonda e attese l’alba pregando: invocò aiuto e conforto per la mamma e la sorella; per sé domandò “l’allegrezza del cuore e un santo coraggio” per compiere la sua nuova missione; chiese anche un’altra compagna.
Appena spuntò il mattino salutò con un lungo abbraccio la mamma e Camilla, che erano inconsolabili.
– Se non fosse il Signore a chiamarmi non vi lascerei per tutto l’oro del mondo – diceva loro tra le lacrime –; perdonatemi di tutto; vi vorrò ancora più bene e continuerò ad aiutarvi in tutto quello che potrò…
In fretta si avvolse nello scialle e scomparve nella via. Poco dopo era con Caterina nella chiesa di San Giorgio. Il parroco e don Angelo celebrarono la Messa per loro all’altare dell’Addolorata; poi le accompagnarono per le strade ancora deserte nella nuova casa. Qui, davanti a un’immagine della Madonna posta su di un cassettone, esse si offrirono a Dio promettendogli di dedicare tutta la loro vita a far del bene al prossimo. Era la festa della Presentazione di Maria al tempio.
Quella mattina stessa Caterina dovette ritornare dalla zia che si era ammalata. Rimasta sola, Bartolomea si guardò attorno: oltre al letto e alle panche per la scuola che aveva chiesto alla mamma c’era ben poco, neppure il necessario per cucinare. Ma c’erano i suoi malati lì vicino, all’altro lato della strada. Corse subito da loro e, allargando le braccia, esclamò:
– D’ora innanzi sarò sempre con voi e tutta per voi!
Vennero poi le ragazze della scuola a riempire di voci i corridoi e il cortile e, quando scese la sera di quella giornata unica, a far compagnia a Bartolomea c’era un’orfana, Teresa Conti.
Nei giorni successivi la visitarono anche le amiche e puntualmente ogni mezzogiorno arrivava Camilla, mandata dalla mamma, a portarle il pranzo in un panierino.
Tornò presto anche Caterina e allora le giornate nella nuova casa si organizzarono meglio. C’era davvero tanto da fare: gli ambienti avevano bisogno di riadattamento; le alunne, le orfane, gli ammalati, i poveri, le attività in parrocchia, la preghiera riempivano le giornate.
Solo verso sera cessava il viavai; in casa rimaneva solo il gruppetto delle orfane e, quando anch’esse si erano coricate, si faceva davvero un gran silenzio in quell’angolo di paese a ridosso del monte.
Bartolomea e Caterina ne approfittavano per raccogliersi attorno al lume e parlare dei loro nuovi impegni, delle decisioni da prendere, dei regolamenti da introdurre… Ma come potevano arrivare a tutto?
Del loro bisogno si accorse Maddalena Giudici di Sellere, che si offrì ad aiutarle nei lavori domestici, almeno per qualche tempo; in realtà poi rimase per sempre con loro.
Così all’inizio del nuovo anno erano già in tre. La gente di Lovere cominciò a chiamare “Conventino” quella casa che ormai tutti sentivano come una benedizione per il paese. Nel sogno di Bartolomea doveva essere la “Casa del Redentore”

Vi aiuterò da lassù 
Il 1° aprile del 1833 le campane di San Giorgio invitavano festose la gente in chiesa per l’adorazione del Santissimo e anche Bartolomea accorse con un bel gruppo di ragazze. Protese verso l’altare splendente di luci, pregavano e cantavano esprimendo nella voce tutta la loro anima.
Bartolomea teneva lo sguardo fisso sull’ostensorio e non sentiva neppure scorrere il tempo mentre dentro di sé pensava:
– Io in questo mistero non vedo che amore, non conosco che amore e meditandolo non provo che amore! In questo Sacramento Gesù ce l’ha proprio manifestato tutto!
Quando la funzione finì, uscirono e, salutandosi, si dispersero allegramente nelle vie verso le loro case. Bartolomea, invece, arrivò con fatica al Conventino: si sentiva addosso uno strano malessere e aveva i brividi della febbre.
Le spuntarono le lacrime agli occhi quando Caterina, preoccupatissima, la obbligò a mettersi a letto perché avrebbe chiamato subito il medico.
Bartolomea capì che non si sarebbe più alzata. Le rincresceva morire lasciando Caterina e Maddalena in quella casa appena avviata, ma poi pensò che in Paradiso avrebbe potuto aiutarle ancora di più.
– State sicure – le rincuorava – che questa casa è nelle mani di Dio!
Ma la mamma, Camilla, Caterina e Maddalena erano angosciate e non riuscivano a staccarsi dal suo letto.
La notizia della sua malattia circolò subito in paese e anche fuori e così cominciò un lungo andirivieni nella sua camera: venivano le ragazze a farle le loro piccole confidenze e le amiche sempre bisognose di consigli; Matilde giunse con il papà che da tempo desiderava vederla; la visitarono sacerdoti e altre persone.
A chi vedeva afflitto per lei Bartolomea diceva:
– Le sofferenze che ci manda Gesù non sono mai spine!
Oppure:
– E’ bello patire per il Signore e pensare al Paradiso!
– Se avessi paura della morte farei torto a Gesù che ha fatto tanto per salvarmi!…
Passarono così quei mesi di primavera e venne l’estate con l’aria afosa. Dalla finestra aperta giungevano le voci e il picchiettare alacre dei muratori che costruivano la cappellina. Caterina voleva far sospendere i lavori, temendo che le dessero fastidio, ma Bartolomea la pregò:
– Lasciameli sentire!… Mi danno gioia pensando che Gesù Eucaristia dimorerà anche nella nostra casa.
Giunse il 26 luglio. Bartolomea, ridotta a pelle e ossa, senza forze, aveva ormai solo un filo di voce per salutare, per consolare, per bisbigliare preghiere.
Quel mattino Caterina si era recata presto in chiesa con le orfane per partecipare alla Messa e pregare per lei. A loro si era unita tanta gente, che poi le seguì nel ritorno.
– Come sta Bartolomea? Come sta la maestra? – chiedevano.
Caterina rispondeva alzando gli occhi al cielo e intanto affrettava il passo verso casa pensando:
– Come la troverò? Il Signore me la lascerà o vorrà questo sacrificio?
Appena varcata la soglia del Conventino capì che qualcosa stava succedendo, corse da Bartolomea e la vide gravissima. C’era anche don Angelo che le amministrò subito gli ultimi Sacramenti.
– Vuoi andare in Paradiso? – le chiese.
– Voglio solo quello che vuole il Signore – sussurrò.
Poi strinse il Crocifisso e l’immagine della Madonna e intanto bisbigliava “Gesù, Maria”. Con queste invocazioni sulle labbra, verso le dieci del mattino, si spense. Aveva ventisei anni.
– E’ morta una santa! – così correva la notizia di casa in casa e tutti sentivano di aver perduto qualcosa di se stessi.

La porta aperta
In quei giorni si coglieva nell’aria un grande sconcerto. Per le strade la gente, volgendo lo sguardo verso il monte, pronosticava:
– Senza Bartolomea, addio Conventino!
In realtà, quando si trovarono sole, Caterina e Maddalena si guardarono negli occhi smarrite.
– Che cosa facciamo ora? – si domandò Caterina.
– Io torno a Sellere – decise Maddalena.
– Neppure io posso farcela qui…
Sopraggiunsero in quel momento due sacerdoti che, immaginando quei discorsi, dissero loro chiaro e netto:
– Questo è il momento di mostrare la vostra fiducia in Dio. Rimanete! Ora spetta a voi continuare l’opera di Bartolomea.
A quelle parole Caterina si pentì del suo scoraggiamento, ravvivò la fede nel Signore e, rivolgendosi alla compagna, disse:
– Andiamo avanti con fiducia! Dio solo vuole essere autore di quest’opera. Lasciamo fare a lui!…
Si fermarono e la loro generosità fu presto ricompensata: venne Maria a continuare la scuola rimasta senza maestra; arrivarono Chiara, Margherita, Francesca, Silvia, Teresa… e perfino Camilla, tutte desiderose di seguire Gesù come aveva fatto Bartolomea. Caterina capiva sempre più che il Signore voleva aperta quella porta. Da allora la famiglia è cresciuta e sono sorti ‘conventini’ in varie parti dell’Italia, in altri Paesi dell’Europa e perfino in Asia, in America, in Africa, perché dappertutto le nuove compagne di Bartolomea trovano bambini, giovani, malati, anziani, poveri da amare e da servire nel nome di Gesù.
La santità di Bartolomea fu riconosciuta da Pio XII il 18 maggio 1950 e la sua storia continua attraverso l’Istituto delle Suore di carità.