Veglia per la Giornata Missionaria Mondiale

Milano, Duomo – 21 ottobre 2017

Quale uomo di buon senso manda gli agnelli in mezzo ai lupi?

Abitare la sproporzione

 

  1. Il buon senso e il Vangelo

In ragione del Vangelo, io contesto il calcolo: “quanto è grande la messa, quanto pochi sono gli operai?”; a motivo del vangelo io denuncio come una malattia l’ossessione dei numeri: “quanti siamo, quanti eravamo, quanti saremo?”; la parola del Vangelo mi induce a mettere in discussione la programmazione ispirata dal ragioniere a partire dal confronto tra l’impresa e la spesa, tra lo scopo da perseguire e le risorse disponibili. Io contesto la cautela che rifugge dal rischio, non la prudenza che pratica il discernimento. Io contesto l’esitazione che di trattiene dalla consegna di sé, perché non trova mai le condizioni adatte. Io contesto l’insistenza nel cercare garanzie e rassicurazioni, che non si lascia convincere allo slancio, perché continua a domandarsi: “E se dopo…?”

A partire dal Vangelo io affermo che la logica della missione è la sproporzione: la missione è sproporzionata alla disponibilità degli operai.

E allora che cosa fare? Forse il calcolo induce a circoscrivere l’orizzonte della missione alle forze disponibili: siamo pochi, siamo vecchi, siamo inadeguati e dunque lasciamo perdere, cerchiamo prima di convertire noi stessi, poi penseremo agli altri, cerchiamo di essere missionari a casa nostra, poi penseremo al resto del mondo.

La parola di Gesù smentisce quello che sembra buon senso e invece è viltà, quello che si presenta come saggezza e invece è pretesto per adeguarsi alla logica del mondo, invece che a quella di Dio.

Quale uomo di buon senso manderebbe gli agnelli in mezzo ai lupi? Ecco io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi! Quale uomo di buon senso direbbe ai pochi rimasti: Andate e fate discepoli tutti i popoli (Mt 28,19)? La parola di Gesù di fronte alla sproporzione tra la messe abbondante e il numero degli operai dice: proprio questa sproporzione è la ragione per andare, nel nome del Signore; proprio questa sproporzione è la ragione per fidarsi di Dio: pregate!

 

  1. La virtù di abitare la sproporzione.

La Chiesa è dunque costituita per abitare la sproporzione. Noi siamo chiamati a vegliare e a pregare questa sera per chiedere le virtù che consentono di abitare la sproporzione.

 

Per abitare la sproporzione la virtù essenziale è quella pratica troppo dimenticata che consiste nell’abitare in quel frammento sproporzionato che è Gesù di Nazaret: rimanete in me e io in voi … chi rimane in me e io in lui porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla (Gv 15,4.5).

La pratica troppo dimenticata di quella preghiera che per forza di Spirito Santo rende possibile la comunione di vita che conforma al Signore Gesù e abilita a condividere il suo sguardo, a partecipare dei suoi sentimenti, ad assumere il suo pensiero. Di fronte alla messe abbondante non lasciatevi prendere dallo scoraggiamento, dallo sgomento, non consentite al calcolo di farvi sentire sopraffatti. Ecco cosa dice Gesù: pregate! Non confondete la preghiera con qualche momento di silenzio per pensare ai fatti vostri, non scambiate per preghiera qualche momento di emozione per la suggestione di un canto condiviso, di un incontro di gruppo radunato dall’abitudine, dalla rassicurazione di essere in compagnia. Se la preghiera non persuade alla parola che dice: “Andate, come agnelli in mezzo ai lupi!” c’è da dubitare d’aver pregato. Se la preghiera non semina una gioia invincibile, se non insegna uno sguardo misericordioso, se non tiene vivo il fuoco dello zelo per l’annuncio del Vangelo, c’è da dubitare d’aver pregato. Se la preghiera non è una docilità, una passività, un lasciarsi plasmare dallo Spirito, se è solo un dovere, uno sforzo, un adempimento, c’è da dubitare che si tratti di preghiera.

 

Per abitare la sproporzione la virtù irrinunciabile è la pratica del gesto minimo che consegna tutto. Il gesto minimo è quello del bicchiere d’acqua per l’assetato, del pane condiviso con l’affamato. Il gesto minimo è quello che comincia oggi. Quello che non aspetta che si risolva il problema della fame nel mondo, ma consegna tutto quello che serve per il fratello che ha fame. La pratica del gesto minimo non rifugge dai grandi pensieri e dall’affrontare le questioni generali con competenza e serietà, ma conduce a decidere adesso quello che è possibile per il tutto che sono adesso, che vedo adesso, che posso adesso, senza calcolare dove può condurre, senza calcolare quanto può rendere, senza calcolare quali problemi può risolvere. La pratica del gesto minimo non ha a che fare con attrezzi e con beni materiali, non si discute di borsa o di bisaccia o di sandali: si parla di quel tutto che è la libertà. La pratica del gesto minimo è in sostanza l’arte della decisione, è, in sostanza, quel dare volto alla libertà che i cristiani chiamano “vocazione”. Il Vangelo non chiede le nostre cose, ma la nostra risposta libera, lieta, fiduciosa. La pratica del gesto minimo si riassume in una parola: “eccomi!”. Eccomi adesso consegno tutta la libertà di cui dispongo: eccomi, per un’ora di servizio ai poveri; eccomi, per preparare una torta per il banco missionario; eccomi, per quindici giorni d’estate in Brasile; eccomi, per una classe di catechismo; eccomi, per un anno di discernimento vocazionale; eccomi, per consegnarmi a un amore che sia fedele per tutta la vita; eccomi per andare in croce e morire! Il gesto minimo non è l’azzardo sconsiderato, ma la docilità incondizionata.

 

Chi manderebbe gli agnelli in mezzo ai lupi? Ci si può domandare. “Io che sono in croce” risponde Gesù.

Noi che abitiamo la sproporzione raccolti stasera in preghiera abbiamo la semplicità di dire, con trepidazione e fiducia, “Eccomi!”.